Dove oggi sorge la chiesa di Santa Maria di Civita vi era un tempio pagano dedicato a Mercurio Lanario, il dio protettore della lavorazione della lana, attività principale del centro romano di Civitas Falconara.
Nei primi tempi del cristianesimo vi fu edificata Santa Maria di Civita di cui si fa già menzione in un documento di donazione firmato nel 1038 nella stessa chiesa.
Venne riconsacrata all’inizio del 1300 e totalmente ricostruita in stile tardo barocco alla fine del XVIII secolo e arricchita ulteriormente nel corso del 1900.

L’Archivio parrocchiale custodisce numerose tipologie di atti, sia sciolti che rilegati in volume: dai testamenti, donazioni e contratti di natura diversa ai censimenti delle anime, dei battezzati, sposati e morti; dai documenti finanziari della Parrocchia a quelli dei Procuratori; dalle capitolazioni alle liturgie. Fra questi documenti, alcuni dei quali oggetto di restauro, sono particolarmente pregiati l’antifonario e il martirologio risalenti alla fine del XIII secolo. Una glossa del giugno 1745 attestava anche la presenza di un calendario dei morti del 1466, di cui tuttavia non v’è più traccia. I documenti storici dell’Archivio parrocchiale più consultati sono i registri dei matrimoni, dei battesimi e dei morti.

Per quanto riguarda gli atti di matrimonio, il primo volume disponibile interessa gli anni 1564-1569. Ciascun atto di questa tipologia era introdotto dalla medesima formula, “con le parole de presenti noi et voglio”, che veniva recitata davanti la porta della Chiesa. Un ventennio più tardi le parole “noi et voglio” sono sostituite da “vis et volo” (tu vuoi io voglio). Nel tempo si assiste anche alla modifica del luogo dove erano pronunciate, passando cioè dall’esterno all’interno della Chiesa, e in particolare da davanti la porta a davanti l’altare.

Il primo registro dei battesimi conservato nell’Archivio parrocchiale risulta compilato, invece, nel novembre 1565. Come emerge dalle relative annotazioni, il sacramento veniva impartito molto spesso a poche ore dalla nascita. Sono peraltro documentati casi in cui, per il timore di una morte prematura, gli stessi astanti al parto conferivano direttamente il battesimo al neonato.

Le più antiche annotazioni di morte disponibili risalgono al 1594: la prima registrazione in assoluto, ironia della sorte, riguardava il decesso del parroco titolare Don Ascanio Belmonte. Si trattava, in ogni caso, di mere elencazioni di nomi con date di morte. Dal 1624 gli atti presentano maggiori informazioni, in particolare sulle circostanze del decesso: si trovano così censite morti per cause naturali, accidentali e per omicidio.

Nell’Archivio parrocchiale è conservato anche un registro per i soli bambini defunti (Liber Parvulorum Mortuorum) che interessa buona parte del XVIII secolo. Per gli anni 1758 e 1759 si segnalano le annotazioni, rispettivamente, di 33 e 56 bambini morti, segno di una probabile epidemia.